Notizie sulla scoperta dei vasi
– Prima del 1800 la città di Ruvo era praticamente sconosciuta agli studiosi. Su Ruvo, sulla sua storia e sui vasi nessuno sapeva niente. I contadini, infatti, quando nei propri terreni trovavano i vasi li frantumavano con le loro zappe perché erano interessati solo all’oro delle monete che vendevano poi a caro prezzo. Grazie ad alcune persone colte, si capì l’importanza di questi vasi ed iniziarono così vere e proprie ricerche. Nel 1820 il grande entusiasmo provocò la nascita di vere e proprie società di scavo che lavoravano anche fino a notte fonda: solo allora il nome della città diventò così famoso che importanti studiosi venivano spesso ad ammirare tutto quello che affiorava durante il lavoro. I popoli antichi avevano l’abitudine di seppellire insieme al defunto tutti gli oggetti utilizzati durante l’arco della propria vita: erano convinti che nella vita ultraterrena, cioè dopo la morte potessero servire. Il corredo funerario era più o meno ricco in base al ceto sociale: i poveri portavano nella tomba due o tre vasettini, il ceto medio portava sei, nove, dodici, sedici pezzi, i più ricchi partivano da ventuno, ventiquattro e potevano raggiungere anche la quantità di settanta vasi. Nella tomba venivano posti gli oggetti usati un vita dal defunto: collane, profumi, tegami per le donne, armi per gli uomini e per i guerrieri, premi e coppe per gli atleti, giocattoli per i bambini. Il corpo veniva ricomposto in posizione rannicchiata inclinato sul fianco destro, con il viso rivolto verso Oriente perché lì sorge il sole (quindi la nuova vita). I familiari sulla tomba consumavano un pasto a base di seppia simbolo della sopravvivenza (nel Museo ci sono vari piatti con questo decoro) e gustavano il frutto del melograno simbolo della risurrezione.
Origini della collezione Jatta
La collezione Jatta andò formandosi dal 1820 fino al 1842 e quando stava per essere ceduta al re di Napoli (per volere dello stesso Giovanni), la signora Giulia Viesti, moglie di Giulio, fece annullare la volontà del cognato e diede una sede al museo a Ruvo di Puglia. Fu costruito fuori città un vero e proprio palazzo, progettato dall’architetto di Bitonto Luigi Castellucci, con lo scopo di accogliere le due parti della collezione fino ad allora divise tra l’antica casa della famiglia qui a Ruvo, e la residenza napoletana di Giovanni Jatta.
Ideato come una vera e propria casa-museo, il palazzo Jatta è destinato ad accogliere al piano terra oltre al già citato museo, gli uffici, i locali agricoli, un tempo rimesse per cavalli e carozze, mentre al primo piano (al quale si accede attraverso una bellissima scalinata) l’appartamento privato per la residenza familiare.
Dopo aver costruito le stanze si provvide ad ordinare da Napoli le vetrinette, le colonne di legno, gli armadi, le suppellettili a dimostrazione di come erano poveri e poco bravi i nostri artigiani. Erede delle fortune e della raccolta di vasi fu l’amato nipote Giovannino, figlio diGiulio e di Giulia Viesti. Seguendo gli insegnamenti direttamente impartiti dallo zio, Giovannino dedicò gran parte dei suoi studi alla sistemazione e la catalogazionedei vasi all’interno del museo, terminati poi con la pubblicazione di un voluminoso catalogo ancora oggi non sostituito.
Nel Museo i vasi sono sistemati secondo un criterio di “bellezza” seguendo il gusto dell’epoca. Infatti, quelli più grandi, ritenuti più belli e più importanti sono collocati sopra eleganti colonne di legno nelle ultime sale, mentre gli altri trovano posto nelle vetrine delle prime stanze. Il Museo Jatta è l’unico Museo in Italia che conserva ancora oggi la disposizione originaria voluta dal suo fondatore nell’Ottocento. Nel 1991 lo Stato ha provveduto ad acquistarlo inaugurando l’apertura nel 1993. Il museo Jatta è una raccolta di vasi in terracotta, (fatta eccezione per quelli conservati nell’ultima sala), datati dal settimo secolo al quarto secolo avanti Cristo. Non tutti i vasi esposti sono di Ruvo: molti provengono da Canosa e Taranto altri invece direttamente dalla Grecia.
Descrizione delle sale
Si accede al Museo attraversando l’atrio scoperto in direzione dell’antico giardino, per varcare ancora a sinistra l’antico portone di legno del vero e proprio museo, che occupa quattro stanze del piano terra.
La prima stanza:
E’ stata definita delle semplici “terrecotte“, poiché i vasi raccolti sono meno belli. Le decorazioni presenti sono geometriche (linee, punti, rombi, quadrati e cerchi). Sotto la finestra vi è la ricomposizione di una tomba in tufo con all’interno dei reperti senza vernice. Al centro della stanza c’è un grande contenitore chiamato dolio: di forma sferica (tondeggiante), un tempo era usato per la conservazione dei liquidi, (olio, vino) veniva completamente interrato al di fuori della casa. All’interno delle vetrine basse ci sono vari piatti, bicchieri, coppe, bruciaprofumi, statuette femminili, lucerne. Curiosi sono i tintinnabula: animaletti in ceramica contenenti un sassolino per i giochi dei più piccoli.
Seconda stanza:
Nella seconda stanza che è la più grande del museo sono esposti circa 700 vasi, alcuni sono stati prodotti in Grecia, altri sono di produzione locale. Si nota subito la diversità rispetto alla prima sala: al posto dei punti, delle linee, dei rombi e dei cerchi ci sono figure umane, vari personaggi: donne, uomini, bambini, animali. I vasi qui presenti sono stati prodotti con la tecnica a figure rosse: le immagini presenti sono rosse, il fondo del vaso è nero. Lungo le pareti di questa stanza trovano posto numerosissimi oggetti: piatti, anfore, ma soprattutto piccoli contenitori per contenere oli, unguenti e profumi. L’olio, infatti, era utilizzato oltre che per l’alimentazione e l’illuminazione, anche per la pulizia del corpo e per la preparazione dei profumi. Gli atleti solitamente lo usavano dopo gli esercizi ginnici.
Terza stanza:
La terza stanza meno ampia è occupata al centro dal busto marmoreo di Giovanni Jatta junior al quale si deve la sistemazione e l’incremento della raccolta. Questa stanza è famosa per la presenza di bicchieri particolari chiamati rhyta (leggi riutà). Questi bicchieri sono a forma di testa umana (negri e soprattutto donne) o di animale (cervo, cane, mulo, ariete, scimmia, lupo, bue). Sono particolari, perché mentre i nostri bicchieri hanno una base di appoggio verticale, questi invece orizzontale: una volta versato il vino doveva essere utilizzato del tutto. Inoltre mentre noi cambiamo il bicchiere a seconda del tipo di bevanda che usiamo (per l’acqua il bicchiere più grande, per il vino quello un po’ più piccolo, per il liquore ancora più piccolo) i popoli antichi cambiavano bicchiere a seconda della festa celebrata: i rhyta venivano utilizzati per festeggiare le vittorie delle guerre, il kantaros (un bicchiere dai manici molto alti) era utilizzato nelle feste in onore del dio Bacco (il dio del vino).
Quarta stanza:
L’ultima stanza del museo (vi era una quinta stanza che conteneva un gran numero di monete rubate agli inizia del 1900), raccoglie insieme al busto di Giovanni Jatta senior, iniziatore della raccolta, i vasi più preziosi più belli e famosi. Il vaso più importante è quello di Talos.
Talos era un gigante, un custode. Il suo compito era quello di proteggere l’isola di Creta, cercando di tenere lontano tutti coloro che volevano approdare lanciando contro dei grossi macigni di pietra. Il gigante era tutto di bronzo ma aveva una piccola vena, che percorreva il proprio corpo visibile solo vicino al malleolo. Un uomo di nome Giasone con la propria nave e con i propri amici (chiamati Argonauti) cercò di fare scalo all’isola per rifornirsi di acqua, ma il gigante Talos impedì loro di avvicinarsi. Intervenne allora una maga chiamata Medea che innamorata di Giasone cercò di aiutarlo con uno stratagemma: preparò per Talos un incantesimo, una porzione magica (una bevanda). Talos stordito urtò il suo punto debole (il malleolo del piede) ad un sasso e si ferì. Sul vaso il gigante è rappresentato morente tra le braccia di due personaggi a cavallo chiamati Castore e Polluce. Nella stanza ci sono inoltre tanti oggetti di metallo (soprattutto in bronzo) come bottoni, manici, pezzi di armatura provenienti dalla nostre Murge, vasi a figure nere e gioielli in pasta vitrea (vetro frantumato ed impastato).
Orari del museo:
Segreteria Museo Jatta: Tel.: 080 3612848
Approfondimenti
- G. Custodero, Antichi popoli del Sud: Apuli, Bruzii, Lucani, Messapi, Sanniti e Greci prima della conquista romana, Lecce 2000.
- G. Andreassi, Jatta di Ruvo. La famiglia, la collezione, il museo nazionale, Bari 1996.
- E. Greco, Magna Grecia, Guide Archeologiche Laterza, Bari 1995.
- E. M. De Juliis, La ceramica geometrica della Peucezia, Roma 1995.
- C. Bucci, Il Museo Nazionale Jatta. La storia, i personaggi, la collezione, Bari 1994.
- G. Tagliamonte, I figli di Marte: mobilità, mercenari e mercenariato italici in Magna Grecia e Sicilia, Roma 1994.
- R. Ruta, Le campagne di Ruvo in eta romana. Archeologia dello spazio rurale e del popolamento, Bari 1993.
- E. M. De Juliis, I musei archeologici della provincia di Bari. Archeologia in Puglia, Bari 1983.